Le relazioni sono alla base della nostra vita. Non siamo fatti per stare isolati, ma attraverso le relazioni cresciamo e ci evolviamo.
Quando intraprendiamo una nuova storia d’amore tutto risulta meraviglioso. Entrambe le persone coinvolte vivono la fase dell’innamoramento con gran passione ed in maniera intensa. Ad un certo punto, però, entra in gioco la routine. La coppia si assesta e la vita quotidiana prende il sopravvento. Uno dei due partner può cominciare a sentirsi trascurato e va alla ricerca morbosa dei motivi per i quali si sente in questo modo, sviluppando un attaccamento eccessivo all’altro. Nei casi più gravi, quando i bisogni del singolo sovrastano quelli della coppia, siamo di fronte ad una dipendenza affettiva.
La dipendenza affettiva: cos’è?
La dipendenza affettiva è un fenomeno ampio, legato a varie sfaccettature.
Solitamente, chi soffre di dipendenza affettiva applica lo stesso schema di comportamento anche in altri ambiti della sua vita quotidiana. È il caso del rapporto con il cibo, con il proprio corpo, con il lavoro.
Si tratta di una dipendenza a tutti gli effetti e come tale nasconde la presenza di un vuoto, spesso inconscio, da colmare a tutti i costi. Il partner diventa il “tappabuchi” ideale. Un qualcosa al di fuori di noi che diventa consolatorio.
Tutte le forme di dipendenza hanno dei punti in comune. Uno fra questi è che rappresentano il tentativo di mantenere sotto controllo le proprie emozioni, incrementando il benessere personale, allontanando la tristezza, il dolore, in alcuni casi anche la noia.
La dipendenza affettiva diventa una forma patologica d’amore che genera relazioni distruttive. Rappresenta un legame doloroso in cui c’è un forte squilibrio tra il dare ed il ricevere.
Il partner viene considerato al pari di una “droga” a cui bisogna rivolgersi per riempire un vuoto profondo e stare bene. Si è alla ricerca di un piacere immediato che riesca ad alleviare la nostra tensione o la nostra insicurezza.
Ci dà l’impressione di ottenere un certo appagamento e risulta tranquillizzante a tal punto che si vuole nuovamente rivivere questa vicinanza con il proprio amato. Questo avviene solo in un primo momento. È il momento in cui non ci si rende conto di quanto dannosa possa essere una relazione di questo tipo.
Si tratta di un disturbo vero e proprio che coinvolge principalmente le donne, ma non è escluso che ci siano anche uomini dipendenti.
Non si è certi del motivo per cui a soffrirne siano maggiormente le donne. Si pensa che sia per via di un retaggio del passato.
Il motivo andrebbe cercato nei modelli educativi a lungo perpetuati all’interno della nostra società, secondo cui la donna è abituata a subire piuttosto che a ribellarsi.
Se ci pensiamo attentamente è, infatti, molto comune che alle donne, fin da piccole, venga chiesta una mano d’aiuto in casa, mentre i maschi loro coetanei vengono più facilmente “risparmiati” in questo compito. In questo modo le ragazzine crescono con l’insegnamento di dover mettere in secondo piano i propri bisogni, a favore di quelli degli altri, e che questa condizione sia normale!
I sintomi della dipendenza: come riconoscerli
Nella maggior parte dei casi, questa dipendenza viene sottovalutata da chi ne soffre. Viene scambiata per “troppo amore ed attaccamento” verso la persona amata.
Ci sono tuttavia dei comportamenti e degli schemi che si ripetono e tramite i quali possiamo riconoscerla. Vediamo quali nel dettaglio.
I sintomi principali che ci aiutano ad individuarla sono: estrema gelosia, sensi di colpa nei confronti del proprio amato e sensazione di sentirsi inferiore a lui, paura dell’abbandono, scarsa autostima.
Chi soffre di dipendenza affettiva vive in funzione dell’altro e gli dedica totalmente il proprio corpo e la propria mente. Sentiamo la necessità costante di controllarlo in ogni suo movimento.
Proviamo un’accentuata forma di malessere, anche fisico, quando il partner non c’è. Può insorgere l’ansia, o addirittura panico e depressione durante la sua assenza fisica, ma anche emotiva.
La relazione con il nostro amato rappresenta per noi l’evasione dal mondo reale e dalla banalità.
Altro campanello d’allarme è quando ci sentiamo incapaci di pensare in maniera lucida alla nostra relazione e a controllare i nostri comportamenti. Solo a volte si ritrova la lucidità per brevi periodi di tempo e proviamo vergogna e rimorso per aver pensato male dell’oggetto del nostro amore.
Abbiamo il costante desiderio di trascorrere il tempo con il nostro partner diminuendo, di volta in volta, il tempo investito nel fare ciò che più ci piace o per incontrare altre persone. Non ci basta pensare alla nostra relazione ma abbiamo bisogno della presenza fisica e di manifestazioni continue e concrete d’affetto che ci rendano più sicure.
La vita sociale scompare perché l’unica persona con cui stiamo bene è la persona amata. Ci sembra quasi di sprecare il nostro tempo se usciamo con delle amiche. Qualora lo facciamo siamo sempre di fretta e parliamo sempre di lui. Ci focalizziamo solo su di lui e anche in presenza di persone a noi care i loro problemi passano in secondo piano.
In un quadro quale quello appena descritto le emozioni del partner hanno più importanza rispetto alle nostre e cerchiamo sempre di compiacerlo. La nostra stima dipende dalla sua approvazione. Ci risulta difficile prendere una decisione in autonomia a causa dei sensi di colpa. Abbiamo una forte paura di essere abbandonate e, quindi, agiamo in maniera tale da evitare la solitudine o il rifiuto. Passiamo la maggior parte del tempo a controllare il nostro amato e ci rifiutiamo di vedere che una tale relazione sia problematica ed ossessiva.
Se proviamo a pensarci attentamente questo tipo di atteggiamento lo mostriamo, in generale, in molti ambiti quotidiani. È la nostra personalità che è dipendente, come abbiamo già detto, non solo dal partner.
Troviamo difficoltà, ad esempio, a prendere da sole delle decisioni anche molto semplici senza l’aiuto di qualcuno o senza consultare qualcuno. Abbiamo bisogno che l’atro si assuma la responsabilità per quanto riguarda scelte importanti della nostra vita, perché per noi risultano insormontabili. Siamo in difficoltà nell’essere in disaccordo con qualcuno e crediamo che le nostre idee non abbiano abbastanza valore. Lasciamo sempre a metà i nostri progetti per paura del fallimento e per paura che gli altri notino e si soffermino sul nostro fallimento. Tendiamo a colpevolizzarci sempre e comunque, anche quando di colpe non ne abbiamo affatto. Infine, siamo incapaci di mantenere i nostri spazi o semplicemente di crearne uno tutto per noi.
L’origine della dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva ha infinite gradazioni. Si va dal caso grave della persona che tenta il suicidio se viene lasciata dal suo partner, al caso più lieve della persona che assume un atteggiamento accondiscendente nei confronti del proprio amato, pur di accontentarlo e compiacerlo e rassicurare se stessa sul fatto che non sarà abbandonata.
La dipendenza affettiva denota sempre una carenza emotiva, una mancanza ricollegata all’infanzia che torna a farsi sentire da adulti.
Può essere una mancanza affettiva da parte dei genitori da cui dipendevamo per la nostra sopravvivenza. In questo caso è come se stessimo ancora aspettando qualcosa che non abbiamo ricevuto da piccoli. Da adulti non riusciamo da sole a ricrearlo per noi. Ecco che cerchiamo al di fuori di noi stesse una forma di appagamento per sostituire ciò che ci manca.
Naturalmente, quello che troviamo non ci appaga totalmente perché si tratta di una forma di compensazione, di un surrogato. Per questa ragione il problema non fa che ingigantirsi.
Se ci sentiamo scontente e non appagate, abbiamo sempre relazioni difficili e conflittuali, tendiamo a ripetere sempre gli stessi errori, potremmo avere qualche problema di dipendenza. La dipendenza si esprime anche con l’addossare la responsabilità della nostra felicità sull’altro. È l’altro che ha il compito di renderci felici, nonostante noi stesse non siamo in grado di chiedere ciò che vogliamo o capire di cosa abbiamo davvero bisogno.
La dipendenza può avere origini anche da dinamiche familiari non risolte, come ad esempio tradimenti o maltrattamenti, sia fisici che psicologici. Anche l’abbandono ha un ruolo predominante perché ci fa perdere la fiducia in noi stesse e ci fa credere che la nostra vita sia degna di essere vissuta solo se in compagnia di qualcuno.
Altre cause che possono portare alla dipendenza affettiva sono le relazioni conflittuali fra i genitori o l’abuso di sostanze.
Chi è la dipendente affettiva?
Spesso la bambina che da adulta avrà problemi di dipendenza affettiva è quella con una famiglia piena di problematiche. È quella che ha cercato di avere un ruolo all’interno della sua famiglia, ma è sempre rimasta invisibile pur indipendente ed autosufficiente.
Probabilmente la madre è una donna non realizzata e che risulta insoddisfatta della vita di coppia. La bambina ne diventa la confidente. La madre finisce per raccontarle le sue frustrazioni riguardo al padre, ma sceglie di non separarsi da lui. La bambina, ancora piccola per comprendere certe dinamiche, tenta in tutti i modi di compiacere la madre e renderla orgogliosa di sé, sperando di darle un po’ di felicità. In realtà, ne vive la sofferenza e se la porterà dietro nell’età adulta.
Il padre, invece, è una figura di solito assente.
La bambina, quando diventa adolescente, ha difficoltà nel rapportarsi con l’altro sesso e tende a sottomettersi. Può crescere in lei l’ansia, l’insicurezza e spesso anche i disturbi alimentari.
Tutte queste problematiche vengono sottovalutate perché lei mantiene sempre alte le sue prestazioni scolastiche e cerca di essere “brava” in tutto ciò che fa. Sembra essere incapace di creare problemi in famiglia quando, in realtà, soffre più di chiunque altro.
Se abbiamo il dubbio di essere le protagoniste delle scene appena descritte probabilmente abbiamo un problema di dipendenza affettiva, anche se per la maggior parte dei casi la dipendente non sa di esserlo!
Se siamo dipendenti affettivamente siamo spesso soggette a sbalzi di umore. Diamo la colpa agli altri se qualcosa non va per il verso giusto.
Il motivo è chiaro: non abbiamo ancora riconosciuto il fatto che dobbiamo concentrarci su noi stesse per essere felici e per ritrovare il nostro equilibrio e il benessere.
La scelta del partner è rivolta verso una persona problematica o da accudire.
Il compagno potrà essere un “codipendente” e quindi anche lui afflitto dal nostro stesso problema. In questo caso tenteremo a tutti i costi di curare la sua sofferenza con il nostro amore, senza chiedere aiuto a nessuno, rinchiudendoci in un “bolla” salvifica nella quale nessuno ha il permesso di entrare, dove crederemo di essere la riparo da ogni tipo di ansia e angoscia.
Altra scelta potrà essere nei confronti di un “narcisista”. In questo caso è lui che ha in mano il potere all’interno della relazione. Diventa molto critico, sempre pronto a svalutarci e svilirci, così che noi cerchiamo in tutti i modi di farci amare e di diventare meritevoli del suo amore e delle sue attenzioni. Dobbiamo essere come lui ci desidera e sfidiamo noi stesse tutti i giorni per raggiungere un’ideale inarrivabile perché il narcisista alza sempre un po’ di più l’asticella. Quando lui si ritrae dal rapporto noi ci attacchiamo maggiormente, mettendoci continuamente in discussione per cercare di essere conformi ai suoi standard, minando decisamente la nostra autostima.
Altro partner a cui ci si rivolge la dipendente è “l’uomo impossibile”, ovvero l’uomo già impegnato o lontano da noi. in questo caso viviamo nella speranza di essere noi la sua scelta definitiva. Idealizziamo l’uomo distante perché inconsciamente per noi è meglio un falso amore che un amore doloroso.
Altra problematica da tenere in considerazione è che spesso se siamo dipendenti affettive possiamo soffrire di disturbi fisici, più o meno evidenti.
L’eccesso di emotività può condurre a gastriti, coliti o gonfiore intestinale.
La tristezza o l’abbandono possono portare a stati d’ansia che provocano problemi respiratori.
Il sentirci non protette può indebolire il sistema immunitario con tutti nessi che questo comporta. Potremmo, inoltre, sentirci stanche e spossate perché usiamo e indirizziamo male le nostre energie.
In più, il meccanismo di compensazione che si innesca dentro di noi può portarci a problemi con il cibo (a nutrirsi troppo, troppo poco o male).
Il processo di guarigione dalla dipendenza affettiva
Se abbiamo il dubbio di essere delle dipendenti affettive il primo passo da compiere è quello di confidarci e confrontarci con qualcuno. In principio può essere una persona di famiglia o un’amica ma, successivamente, è consigliabile chiedere un aiuto professionale.
Occorre intraprendere un cammino per affrontare il malessere e le sue radici e questo può essere fatto con una psicoterapia individuale.
I presupposti fondamentali per cominciare un simile percorso sono: il riconoscimento della propria dipendenza, essere coscienti delle conseguenze che questa ha apportato nelle nostre vite o che potrà apportare in futuro, e soprattutto la volontà di cambiare.
Tutto questo richiede una buona dose di coraggio perché, spesso, è un cammino che porta all’interruzione della relazione nociva dentro la quale ci troviamo e a doverne gestire le conseguenze emotive.
Come prima cosa, con l’aiuto del terapeuta si ripercorre la storia della relazione attuale e di quelle passate per analizzare i comportamenti che ci hanno condotto ad un tipo di relazione di questo genere.
Vengono identificate delle persone di fiducia che potranno aiutarci nella gestione, nei primi periodi, dell’astinenza dalla persona oggetto della nostra dipendenza.
Bisogna giungere alla consapevolezza del nostro disturbo e dei circoli viziosi che si innescano dentro di noi, per poter gestire un’eventuale ricaduta.
Ci si concentra sulla ricostruzione della nostra autostima e su tutto ciò che desideriamo per noi stesse per imparare a gestire emozioni quali: l’abbandono, il rifiuto, la solitudine.
Il terapeuta ci inviterà a riconsiderare le nostre aspettative irrealistiche sull’amore.
Riconoscere di avere dei bisogni, dei desideri e delle emozioni aiuta a costruire un solido senso di sé. Il terapeuta sconsiglierà di non intraprendere una nuova relazione se non siamo prima diventate consce di quello di cui davvero abbiamo bisogno.
In un secondo momento della terapia si passa ad una parte un po’ più complessa che è l’imparare ad accettare ed a gestire le emozioni dolorose. Sentimenti quali la colpa, la vergogna, il rimorso vengono accettati come facenti parte della nostra vita e della nostra persona.
Mettendoci a fuoco cominceremo a comprendere che le gratificazioni non provengono da altri, esterni a noi, ma da noi stesse.
Questo percorso è, senza dubbio, lungo e tedioso. Porrà l’accento su quelle che sono le nostre sofferenze, remote e presenti, sulle nostre debolezze. Ma sicuramente ci condurrà ad un miglioramento della qualità di vita. Uscire da questa dipendenza non è sempre facile perché, come abbiamo detto, viene confusa con un eccesso di amore.
Un disagio emotivo o psichico quale la dipendenza affettiva richiede la giusta cura e attenzione quanto una malattia fisica. Ogni sintomo che abbiamo analizzato rappresenta una spia che si accende per informarci che nel nostro comportamento o nel nostro corpo c’è qualcosa che non va. Occorre un lavoro di rieducazione per imparare a dirigere l’attenzione verso di noi e verso questi segnali che spesso vengono sottovalutati.
I sintomi vanno ascoltati. Più li ascoltiamo, più li osserviamo con neutralità, grazie anche all’aiuto professionale, e più impariamo a familiarizzarci. Una volta svolto questo compito si può pensare alla guarigione che passa attraverso la consapevolezza.
Una volta che il sintomo ci ha avvertiti che qualcosa non andava nel giusto modo e che ne abbiamo preso atto chiedendo aiuto, molto probabilmente il sintomo scomparirà.